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Archiviata la quarta edizione di Mastechef Italia, l’attenzione si sposta sulle edizioni di Usa ed Australia, ree, secondo la Coldiretti, di non tenere in giusta considerazione il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano, sempre storpiati in “Parmesan”

Lost in translation: archiviata ieri sera anche la quarta edizione di Mastechef Italia (vinta dall’agente immobiliare Stefano Callegaro, che ha battuto l’altro finalista, lo studente Nicolò Prati, ndr) che, nonostante lo “spoiler” di “Striscia la Notizia” ha messo a segno il record di ascolti (con picchi di share superiore al 6%), l’attenzione si sposta, non tanto televisivamente, quanto commercialmente, sulle edizioni di Stati Uniti ed Australia, ree, secondo la Coldiretti, di non tenere in giusta considerazione due delle principali voci dell’export alimentare del Belpaese, il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano, sempre e comunque storpiati in “Parmesan”, anche nelle ricette, chiaramente italiane, presentate sui siti web delle due edizioni. Per l’associazioni degli agricoltori più rappresentativa d’Italia si tratterebbe essenzialmente di una mancanza di rispetto per la tradizione produttiva italiana, perché la cucina ha un grande valore culturale (specie la cucina di Masterchef, seguita ogni settimana da milioni di appassionati di tutto il mondo, non solo in Usa e Australia, ndr) ed è chiamata a svolgere un valore un ruolo determinante nel difendere far conoscere le tradizioni alimentari, e con esse la vera identità dei prodotti impiegati.
Invece, nei siti ufficiali della trasmissione Masterchef dei diversi continenti, dalle Americhe all’Oceania si fa spesso riferimento a piatti che hanno come ingredienti il Parmesan anche quando fanno esplicito riferimento a ricette italiane. Sul sito ufficiale di Masterchef Australia, ad esempio, si parla di “Pasta con mais, erbe e Parmesan” e di “Risotto al Parmesan con uovo cotto in camicia” o addirittura di “Pomodoro basilico e bruschetta al Parmesan”. La situazione non cambia in Usa, dove, tra le ricette di Masterchef Usa Junior, ci sono la “Pasta condita con olio di oliva e Parmesan” o il “Pollo al Parmesan”.
Una situazione, secondo Coldiretti, che alimenta una grave incertezza sulla reale origine dei prodotti utilizzati, perché il Parmesan è l’imitazione più diffusa del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano nel mondo, con una produzione che solo negli Stati Uniti, tra Wisconsin, California e New York, arriva a 120 milioni di chili all’anno, ma elevati quantitativi si realizzano anche in Australia, dove si commercializza addirittura Parmesan con il marchio Perfect italiano, che non ha nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Si tratta di imitazioni che fanno concorrenza sleale al vero Parmigiano Reggiano, realizzato secondo un disciplinare approvato dall’Unione Europea, che prevede, tra l’altro, che il latte provenga da determinate zone del territorio nazionale, il divieto nell’uso di insilati, additivi e conservanti nell’alimentazione del bestiame, una stagionatura che varia da 12 a 24 mesi, l’impiego di 14 litri di latte per produrre un chilo di formaggio e 550 per produrre una forma dal peso medio di 40 chili.
Confondere il Parmesan con il Parmigiano Reggiano e Grana Padano, quindi, mette a rischio un sistema produttivo interamente made in Italy che vale complessivamente quasi 4 miliardi di euro fatturato, con il Grana Padano che si colloca al vertice delle produzioni italiane tutelate dall’Unione Europea con un volume di affari che vale 1,5 miliardi al consumo nazionale e 530 milioni all’export, mentre il Parmigiano Reggiano si colloca al secondo posto con 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Il problema è, però, soprattutto culturale, e la Coldiretti sottolinea l’importanza che sul tema intervenga anche il pool di cuochi stellati chiamati a raccolta in vista di Expo 2015 dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, proprio con l’obiettivo di valorizzare il grande potenziale inespresso della cucina italiana dentro e fuori i confini nazionali.

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