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L’educazione al cibo inizia dalle scuole. Le cui mense, peraltro, sono potenzialmente importantissime come luoghi per un’integrazione vera tra culture diverse che parte proprio dalla tavola. Ma serve un salto di qualità nelle idee e nel dialogo

Non Solo Vino
Alice Waters, creatrice degli Edible Schoolyards, gli orti didattici nelle scuole

La consapevolezza sul cibo, sia sull’aspetto nutritivo che su quello “etico”, che da valore al lavoro di chi lo produce, inizia a scuola. Lo hanno raccontato tante esperienze, come quelle degli chef Jamie Oliver, in Uk, e Gastòn Acurio, in Perù, che hanno lottato per un cibo più sano nelle mense scolastiche. Come ha fatto, prima di loro, Alice Waters, creatrice degli “Edible Schoolyards”, gli orti didattici nelle scuole. E partire dalla scuole è fondamentale per un motivo semplice: “solo in Usa ci va il 20% della popolazione. Applicando il “buono, pulito e giusto” di Slow Food nelle mense - ha detto a WineNews - le scuole diventano potenti motori economici di produzione di cibo sostenibile, capaci di cambiare i sistemi agricoli. Se le scuole pagassero direttamente gli agricoltori per quello che producono, diventerebbero co-produttori, contadini ed insegnanti sarebbero colleghi. Dobbiamo riportare i bambini a tavola, nutrirli a scuola con cibo vero è la cosa giusta da fare, lo sappiamo. Bisogna far innamorare i bambini del cibo - ha aggiunto la Waters - e questo quando glielo si fa coltivare, produrre, cucinare e assaggiare, succede in maniera naturale. E funziona con i bambini di tutte le origini ed estrazioni sociali”.
Ma la scuola, ed in particolare le mense scolastiche, potenzialmente, sono anche uno dei luoghi dove può partire, di fatto, l’integrazione culturale. “Perchè il cibo da sempre è elemento di identità, ma anche di contaminazione, di integrazione e di incontro”, spiega Nicola Fiorita, docente di Diritto Diritto Canonico ed Ecclesiastico all’Università della Calabria, e presidente di Slow Food Calabria. Il concetto è semplice, all’apparenza: “oggi nelle classi ci sono bambini di ogni provenienza e tipo di credo. Le normative sulle mense scolastiche sono abbastanza avanzate, e prevedono il diritto ai bambini di ogni confessione religiosa di avere pasti adeguati al proprio credo. In questo, senso, formalmente, far rispettare la neutralità, la laicità della scuola pubblica è più semplice che su tematiche come quella del crocifisso in classe, per esempio”.
Ma le cose non sono così scontate, “perché se è vero che le linee guida della ristorazione scolastica, su questo fronte, vanno bene, i problemi arrivano al momento di concretizzare. Finché c’è, per esempio, la richiesta di un solo tipo di menu alternativo senza maiale per chi è di confessione islamica, non ci sono grossi ostacoli. Ma, in alcuni casi, si arriva anche a 10-12 richieste diverse, magari, per classi dove convivono bambini di religione cattolica, ebraica, islamica, buddista e così via, e diventa un problema di risorse e di costi. E, poi, c’è un altro punto su cui riflettere, ovvero che le mense, da potenziali motori di integrazione, non finiscano per diventare luoghi di ghettizzazione legati al cibo. Non basta, insomma, riconoscere le diverse identità, anche attraverso il cibo, se poi le mense stesse non diventano luoghi per escogitare strumenti per dialogo e incontro vero: è qui il salto di qualità”.
Altrimenti, succede quello che si verifica tra gli adulti, come emerso da una ricerca della Iulm di Milano: “tantissimi studenti - ha spiegato la ricercatrice Barbara Ghiringhelli - dichiarano di conoscere ed apprezzare cibi che impropriamente definiamo etnici, come il cinese, il giapponese, il vietnamita, l’indiano, il messicano e così via. Ma pochissimi, in realtà, hanno mai diviso un pasto con qualcuno di questi Paesi. Il che vuol dire che il cibo ha sicuramente delle grandi potenzialità come strumento di integrazione, ma che ancora sono in grandissima parte inespresse”.

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