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Dall’agricoltura familiare all’Expo 2015, dall’integrazione sociale nei campi e nelle stalle del Belpaese al “km 0”, passando per le problematiche dell’italian sounding: a WineNews il mondo agricolo, secondo il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo

Non Solo Vino
Roberto Coldiretti, presidente Coldiretti

Per qualcuno, l’agricoltura familiare, non fa mercato. Ma cosa ne pensa il presidente della più grande organizzazione agricola italiana, Coldiretti, che rappresenta anche piccole e piccolissime realtà? A rispondere, a WineNews, è lo stesso presidente Roberto Moncalvo: “io credo che la realtà ci racconti un mondo in cui l’agricoltura familiare, oggi, produce oltre il 70% del cibo nel mondo. Penso che in Italia rappresenti oltre un milione e mezzo di associati a Coldiretti, la famiglia diretto coltivatrice è l’ossatura del nostro sistema produttivo, che ha saputo rinnovarsi, e grazie alla multifunzionalità ed alla nuova centralità che il cibo ha, è protagonista, in termini di difesa del territorio, di produzione di cibo, anche attraverso l’attività di multifunzionalità come trasformazione dei prodotti, ma anche la vendita diretta, le fattorie didattiche, gli agriturismi e le fattorie sociali. Insomma - continua il presidente Coldiretti - la realtà dei fatti ci fa capire che c’è un modello di agricoltura imperniato sull’esperienza della famiglia e dell’agricoltura familiare, che è fondamentale in Italia, ed è anche l’unico strumento che possiamo proporre ai Paesi più poveri perché possano uscire dalla crisi della fame in cui si trovano, spesso a causa di fenomeni assurdi come il “land grabbing”, che gli sta togliendo la terra e l’acqua, privandoli di un futuro sano e con il giusto cibo”.
Un altro tema fondamentale, che il mondo agricolo si trova ad affrontare, è l’appuntamenteo con l’Expo 2015 di Milano, il cui tema “Nutrire il pianeta”, secondo il patron di Slow Food Carlo Petrini, non ha ancora un’anima, perché non parla di biodiversità, dignità del lavoro dei contadini, scambi dei saperi agricoli tra i popoli. Un limite, almeno per ora, difficile da negare o ignorare, anche per Roberto Moncalvo, che sottolinea come “di Expo finora si sia parlato soprattutto come contenitore, ponendoci il problema di costruirlo in maniera trasparente. Tutte cose sacrosante, alle quali abbiamo saputo dare risposte, ma adesso è arrivato il momento di pensare al contenuto, altrimenti rischiamo di trovarci con una bottiglia perfetta, in cui immaginiamo di trovare del buon vino, e che, invece, contiene aceto. Come Coldiretti - spiega Moncalvo - siamo impegnati quotidianamente per riempire questa bottiglia, e lo faremo non tanto e non solo portando i nostri prodotti, ma portando un modello di agricoltura che è vincente in Italia e che può fare scuola in tutto il mondo. Questo è il nostro ruolo, con la volontà di essere protagonisti con un modello, con una chiave di lettura del ruolo dell’agricoltura e del cibo che può dare un futuro e che, soprattutto in Italia, i giovani hanno saputo cogliere”.
Un futuro che passa, in buona misura, per il successo del made in Italy, protagonista nel mondo, ma che è anche fatto da uomini del mondo: macedoni che lavorano nelle vigne di Barolo e di Brunello, indiani nelle stalle del Parmigiano Reggiano, polacchi e magrebini nelle malghe alpine. “Una necessità ed una vicenda - racconta il presidente di Coldiretti - che le imprese vivono con assoluta serenità: nelle nostre aziende, oggi, si fa integrazione, si dà un’opportunità di lavoro a persone che vengono in Italia con la speranza di lavorare, ed in agricoltura lo possono fare. Questo è il lato positivo dell’immigrazione, anche in campo agricolo, e tante sono le storie delle nostre imprese che fanno del bene, anche dando lavoro e possibilità di un futuro a tanta gente che viene nel nostro Paese”.
Complesso, invece, tutto ciò che riguarda il “km 0”, che Moncalvo approccia da due differenti prospettive: “da una parte c’è il made in Italy, cercato ed apprezzato in tutto il mondo, e allora noi non possiamo non pensare all’export dei nostri prodotti, dei nostri veri prodotti, e quindi col tema della promozione all’estero, e soprattutto della difesa dai prodotti contraffatti. Poi c’è il tema del mercato interno, che vive il dramma della crisi e del crollo dei consumi: dobbiamo lavorare per far arrivare il prodotto dei nostri campi e delle nostre stalle direttamente ai consumatori. Lo si fa col “km 0”, che è un grande tema economico, e riguarda il 15% delle imprese agricole italiane. Ma lo si fa anche sapendo leggere la valenza culturale e di modello del “km 0”: dire “km 0” - spiega il presidente Coldiretti - vuol dire parlare di una filiera corta, trasparente, che dà la possibilità al consumatore di conoscere tutto il cibo che compra. Questo lo si fa col “km 0” classico, del mercato, di “Campagna Amica” e del punto vendita diretta, ma anche con quello che definiamo il progetto per una filiera agricola tutta italiana, con l’obiettivo di far arrivare negli scaffali della gdo prodotti che siano marchiati e garantiti per la loro origine agricola italiana, e che siano frutto di una filiera che si sviluppa sul nostro territorio e può dare lavoro nelle campagne, nelle attività agroindustriali e nella distribuzione del nostro Paese”.
A frenare il successo del made in Italy nel mondo, il nemico maggiore è ancora l’italian sounding, una galassia assai complessa di vere e proprie contraffazioni ai simboli dell’agroalimentare tricolore, difficilissima da sconfiggere, anche se esistono strumenti utili al caso. “La sfida è grande, soprattutto quando usciamo dall’Italia e dai confini dell’Europa, però ce la dobbiamo giocare, sia per i prodotti a denominazione d’origine, sia per il resto della produzione italiana. Gli strumenti - spiega Moncalvo - ci possono essere, alcuni già esistono e si possono utilizzare, anche nel momento in cui si discutono accordi di libero scambio con gli altri Paesi, e penso a quello che sta accadendo in queste settimane con l’accordo TTIP con gli Stati Uniti. Sono tutte occasioni importanti per cercare di arginare questo fenomeno, e l’importanza di queste regole, insieme ad un’attività di promozione vera, importante, che il sistema Paese può fare per il vero prodotto agroalimentare italiano, sono strumenti utili per affrontare questo tema, che toglie il futuro, perché la nostra stima di 60 miliardi di euro di falso made in Italy nel mondo, si traduce in potenziali posti di lavoro che, invece, non abbiamo”. Del resto, l’italian sounding è la dimostrazione plastica di quanto il made in Italy sia popolare in ogni angolo del globo: “c’è una grande fame di made in Italy nel mondo. Viene copiato, anche in Italia, sfruttando la carenza di alcune norme - conclude Moncalvo - oppure frodando in modo consapevole i consumatori, cercando di sfruttare il valore aggiunto, che è anche un valore aggiunto economico, delle nostre produzioni, senza legarle ai territori”.

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