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L’allarme Assosuini: il Prosciutto Crudo di Parma vende mediamente ogni anno 700.000 cosce in meno sul mercato nazionale, e l’incremento annuo di 100.000 pezzi venduti all’estero non basta a scongiurare il pericolo di fallimento

“Il Prosciutto Crudo di Parma, vanto assoluto dell’agroalimentare italiano, vende mediamente ogni anno 700.000 cosce in meno sul mercato nazionale, e l’incremento annuo di 100.000 pezzi venduti all’estero non basta a scongiurare il concreto pericolo di fallimento del settore”. A delineare lo scenario di un sistema suinicolo nazionale vicino al crack, è Elio Martinelli, presidente di Assosuini (www.assosuini.it), dagli “Stati Generali della Suinicoltura”, andati in scena nei giorni scorsi a Cremona.
Per Assosuini, la salvezza del comparto passa innanzitutto per la creazione di un direttivo nazionale della suinicoltura, in grado di armonizzare le varie componenti del settore, e che diventi unico soggetto autorizzato ad agire a livello istituzionale. Gli altri punti cardine della proposta di Assosuini sono: la riduzione dei costi di smaltimento, fino a 30 euro al camion (per una capacità di 140 capi), attraverso una valutazione oggettiva delle carcasse (e delle cosce in particolare) in “autofom” con la costituzione di una società finanziata dagli allevatori e garantita dal Ministero dell’Agricoltura; l’introduzione di un bollino “Carne Italiana 100%” per arginare le contraffazioni e trasformare gli attuali avversari in potenziali clienti.
“Le proposte degli allevatori vanno assolutamente condivise, anche se sono certamente complicate da mettere in atto - commenta Rosario Trefiletti, presidente nazionale di Federconsumatori - soprattutto perché l’istituzione di un unico interlocutore richiede il superamento di logiche paludate. Le sfide da affrontare richiedono uno spirito battagliero: l’incremento dell’export, ad esempio, deve passare attraverso lo sviluppo di vere infrastrutture di intermediazione e la modifica di certi regolamenti come quello vergognoso che consente di produrre prosciutto cotto senza carne di maiale e con più acqua e additivi chimici prima proibiti. Quel che più conta - conclude Trefiletti - è il contrasto di certe pratiche lobbistiche che, a Bruxelles, favoriscono puntualmente le industrie del Nord-Europa”.
Secondo Gianni Fava, assessore all’agricoltura della Lombardia, “è vitale ottenere le autorizzazioni per l’export mediante la regionalizzazione delle certificazioni, Roma deve necessariamente abbandonare certe prospettive centralistiche. Non è più possibile tollerare il Sistema di Qualità Nazionale: una colossale stupidaggine! Quanto all’innesco di dinamiche di mercato virtuose, non si può prescindere dall’istituzione di un fondo straordinario per far fronte alla crisi, eppure in un anno di pressing non ho ancora ottenuto alcuna risposta!. La nomina di unico portavoce delle esigenze di settore - aggiunge Fava - sarebbe una mossa assai utile non solo per il sistema, ma anche per la politica”.
La gran parte dei maiali italiani sono destinati a essere trasformati in prosciutti crudi Dop e spesso le loro cosce, secondo la normativa Ue, risultano troppo magre mentre siamo costretti a importare dall’estero il 40% della carne suina fresca. Una delle difficoltà che gli allevatori italiani di maiali devono affrontare è l’applicazione delle nuove normative Ue (equazioni di stima delle carcasse) che stabiliscono i criteri per la trasformazione delle cosce in prosciutti crudi Dop. Le produzioni italiane sono diverse da quelle europee, perché la quantità di carne magra presente nelle cosce made in italy è troppo alta, e spesso non le fa rientrare nella griglia europea delle produzioni Dop. Secondo uno studio del Crpa di Reggio Emilia - Centro ricerche produzioni animali, su un campione di 21.500 maiali destinati al circuito tutelato, le cosce italiane di maiale sono troppo magre per diventare prosciutto crudo di Parma Dop. Di fatto, oltre il 20% delle cosce analizzate non rientrano nelle classi stabilite per produzioni Dop. In 16 anni la carne magra nelle cosce dei suini prodotte per diventare prosciutti di Parma Dop è aumentata del 23%.
La sfida per i suinicoltori italiani - si è detto a Cremona - è trovare uno sbocco commerciale per quelle cosce prodotte per la Dop ma che non rientrano nei parametri della normativa europea. A sostegno dei nostri produttori è stato introdotto di recente una deroga (“intervallo di incertezza di misura”) che fa rientrare nella griglia europea della produzioni Dop anche le cosce con un tenore di carne magra maggiore (compresa tra il 56,6% e il 38,4% dell’animale) ed evita ulteriori perdite per gli allevatori italiani. Se i nostri maiali vengono prevalentemente allevati per essere trasformati in prosciutti crudi Dop, è altrettanto vero che l’Italia è costretta a importare il 40% di carne suina fresca. Gli allevatori italiani sono chiamati perciò a differenziare la produzione e puntare all’allevamento di suino leggero-intermedio confrontandosi con una concorrenza estera molto qualificata, che negli anni si è sempre più specializzata e migliorata soprattutto in termini di omogeneità delle partite, sia per peso che qualità organolettiche.

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