02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

“10.000 Orti in Africa” è la mission di Slow Food. Perché “fare un orto è atto politico” e “la terra dell’Africa appartiene a giovani africani” ha detto il fondatore di Slow Food, Petrini. E Google mapperà tutti gli orti coltivati nel continente

“Non si può più svendere la terra africana agli stranieri. La terra dell’Africa appartiene ai giovani africani”: parole con le quali il presidente di Slow Food Carlo Petrini ha aperto quella che forse è una delle conferenze più importanti dell’edizione n. 10 del “Salone del Gusto e Terra Madre” a Torino, “10.000 Orti per il futuro dell’Africa”, la mission del momento di Slow Food, contro il land grabbing, per promuovere la biodiversità e l’educazione, a partire dai bambini, e difendere la sovranità alimentare (www.fondazioneslowfood.it).
“Fare un orto è un atto politico: aiuta a risolvere il problema della malnutrizione. È vero, 10.000 orti in Africa sono solo una goccia nell’oceano, ma con gli orti abbiamo dato il via a una rete forte che cresce e lavora per cambiare il futuro dell’Africa”, ha detto il keniota John Kariuki, vice presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità e coordinatore del progetto nel suo Paese. E l’importanza del progetto di Slow Food è stata accolta anche da Google che si è impegnato mappare tutti gli orti coltivati in Africa: “potrete vedere non solo dove sono coltivati, ma anche le foto dei prodotti e di chi li coltiva” ha annunciato Petrini.
Un orto in Africa coltivato da Slow Food “offre ai nostri figli la possibilità di un futuro di pace e giustizia - ha spiegato Kariuki - dove sia garantito a tutti l’accesso a un cibo buono, pulito e giusto. Gli orti hanno un ruolo fondamentale anche perché proteggono e promuovono la nostra agro-biodiversità, perché permettono ai giovani di avere un ruolo importante e di recuperare il sapere degli anziani, perché preservano la nostra terra”.
Ma un orto è anche leva di cambiamento in Paesi devastati da conflitti e che più di altri pagano il prezzo dei cambiamenti climatici, come ha detto Mohahed Abdikadir Hassan, coordinatore dei 10.000 orti Somalia: “per noi coltivare un orto significa fare educazione: la globalizzazione ha cambiato le nostre abitudini e alterato i nostri gusti. Tanto che ora è sempre più difficile far consumare prodotti tradizionali e vegetali. Con gli orti entriamo nelle scuole, a partire dai bambini arriviamo alle famiglie, un traguardo per noi importantissimo”. Nonostante le difficoltà politiche in Somalia oggi si contano 54 orti e 4 Comunità Slow Food. “E siamo molto ottimisti per il futuro” ha aggiunto. In Zimbabwe “stiamo diffondendo la cultura del “passing on the gift: scambiare le sementi e a fine raccolto donarle a qualcun altro perché possa cominciare una nuova avventura agricola” ha raccontato Gladman Chibememe, coordinatore del progetto.
Gli orti sono un baluardo contro il land grabbing, l’accaparramento indiscriminato delle terre che priva le popolazioni locali delle risorse fondamentali costringendole all’emigrazione. “Rubare a un popolo il suo terreno è come rubare la sua cittadinanza. L’accesso al cibo non può più essere determinato dalle multinazionali” ha detto il sudafricano Themba Austin Chauke studente dell’Università di Pollenzo. Per Edie Mukiibi, vicepresidente di Slow Food, “per anni ci hanno fatto credere che in Africa fosse possibile solo la monocultura quando invece le specie coltivabili in un singolo territorio sono più di 600, in tutte le stagioni dell’anno, da quelle secche a quelle umide. Quando ho spiegato a mio nonno il mio lavoro mi ha incoraggiato a continuare: i fiori sbocciano anche quando nessuno li guarda e il loro profumo lo potranno sentire tutti, anche a molti chilometri di distanza”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli