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“La pasta made in Italy nel mondo, oggi, pesa solo per il 30%, e la tracciabilità non andrebbe imposta sul grano, ma sulla semola di grano duro”. Parola di Furio Bragagnolo, presidente di Pasta Zara, secondo produttore italiano dopo Barilla

“Nel mondo sta crescendo la domanda di pasta, ma se venti anni fa il 50% dei consumi planetari era italiana, ora la fetta di mercato globale delle produzioni made in Italy è del 30%” Quindi, solo 3 spaghetti su 10 sono italiani. Parola di Furio Bragagnolo, presidente di Pasta Zara, gruppo con tre stabilimenti in Italia, che produce 1.500 tonnellate di pasta al giorno. “Negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso la leadership di mercato - spiega Bragagnolo - anche se in tutto il mondo ci è riconosciuta la leadership qualitativa e di sicurezza alimentare. E questi primati, legati alla nostra tradizione, hanno alta valenza commerciale. Ma i pastifici turchi nele fiere internazionali fanno la parte del leone, e nuovi competitors del Nord Africa, oltre che di Grecia e Spagna, fanno politiche aggressive sui prezzi”.

Pasta Zara, come ricorda Bragagnolo, “è la seconda realtà in Italia, dopo Barilla, ma è il primo per le esportazioni del “primo piatto all’italiana”. Va all’estero, in 106 Paesi dei due emisferi, il 92% della produzione di pasta, insieme a sughi pronti e olio”. La famiglia, alla quarta generazione alla guida del gruppo, punta ora in particolare ai mercati delle ex repubbliche sovietiche e del Medio Oriente, dove ha aperto un ufficio commerciale ad Alessandria d’Egitto, ed è uno storico fornitore sia di Israele che della Palestina, oltre che della Russia che è primo mercato di sbocco. La produzione attesa nel 2014 è di 320.000 tonnellate, con un fatturato stimato di 260 milioni di euro. “Per raggiungere un migliaio di clienti della Gdo nei quattro angoli del mondo - dice il presidente di Pasta Zara - quello che non abbiamo speso in pubblicità, lo abbiamo investito in ricerca sulle migliori semole, anche alla luce dei cambiamenti climatici in corso, e in tecnologia di produzione e confezionamento. Basti pensare alla necessità di disporre etichette e packaging in tante lingue diverse per raggiungere 106 Paesi”. Sulla possibilità di certificare la produzione made in Italy in etichetta Bragagnolo ha sottolineato che “i grandi pastifici nazionali sono in seconda lavorazione. La nostra materia prima è la semola di grano duro, che è una miscela di grani, e la produzione cerealicola nazionale non solo non è sufficiente per il fabbisogno, ma in annate come questa, terribili dal punto di vista meteo, non sarebbe stato possibile produrre un fusillo. La tracciabilità - conclude l’imprenditore - va dunque imposta non sul grano ma sulla semola di grano duro”.

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