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L’IMPORTANZA DEL TERRITORIO RURALE, DEI COMUNI, DELLA POLITICA, DELL’AGRICOLTURA, DELLA CULTURA E DEL TURISMO IN UN’ITALIA CHE HA SMARRITO LE SUE “GRANDI (E UTILI) BELLEZZE”: LA RACCONTA IL VOLUME “IL BUONPAESE” DI ROSSANO PAZZAGLI PER CITTÀ DEL VINO

“In un Paese come l’Italia, il territorio e la bellezza sono le vere armi per uscire dalla crisi”: una frase che, si può dire ormai, è divenuta quasi una “massima”. Che sentiamo dire da anni da più parti - ma, ricorda Sergio Rizzo, firma del Corriere della Sera, non dimentichiamolo, “fin dai tempi del Gran Tour vino, cibo e paesaggio sono state le guide più preziose di un percorso che negli ultimi decenni si è smarrito nelle campagne aggredite dai capannoni, nei borghi medievali assediati da oscenità edilizie ...” - e che forse solo ora viene ripetuta davvero con convinzione, sarà perché il resto in Italia non va poi così bene, sarà perché finalmente si inizia a comprenderla veramente, anche in vista, diciamolo, di un’Expo che si avvicina, e che dei territori e della bellezza italiani - e della nostra enogastronomia qualità - sarà la vetrina d’eccezione, l’occasione più importante, per mostrare al mondo le “grandi bellezze” del “Bel paese”. Ne consegue che dobbiamo difenderli entrambi, il territorio e la bellezza. E’ l’obbiettivo di “Il Buonpaese. Territorio e gusto nell’Italia in declino”, il volume di Rossano Pazzagli, docente di Storia moderna all’Università degli Studi del Molise, che cerca di riannodare i fili di quel “percorso smarrito”, analizzando l’esperienza delle Città del Vino, ideale itinerario turistico e culturale nell’Italia rurale, attraverso cui è possibile ripercorrere la storia italiana degli ultimi 25 anni, utilizzando come fonti la riflessione collettiva per i 25 anni dell’associazione dei Comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia (fondata a Siena nel 1987 da una quarantina di Comuni, oggi sono oltre 500) che ha coinvolto ricercatori, giornalisti, produttori, politici e personaggi della cultura, e focalizzando l’attenzione sull’importanza del territorio rurale, sul ruolo dei Comuni, sul rapporto tra agricoltura e turismo, sulla funzione della cultura e la debolezza della politica, di quello che, malgrado tutto e la fase di declino che sta vivendo, è un “Buon paese”.
“Un tratto essenziale dell’identità italiana è costituito dalla presenza diffusa di un patrimonio culturale, prodotto del passato, solo in piccola parte conservato nei musei e che è possibile incontrare, talvolta senza esserne consapevoli, lungo le strade, nelle città e nelle campagne, in una parola: sul territorio”, spiega Pazzagli nel capitolo “La bellezza utile” del volume (Felici Editore, 264 pagine, prezzo di copertina € 15; tra i contributi, anche quello del direttore di WineNews Alessandro Regoli, con Paolo De Castro e Mario Fregoni, da Giuseppe De Rita a Vittorio Moretti, da Andrea Gabbrielli a Paolo Bonomi, da Donatella Cinelli Colombini ad Alfonso Pecoraro Scanio, per citarne solo alcuni). Un territorio che può essere considerato come una risorsa e un patrimonio, che può divenire marchio e strumento di comunicazione, e che insieme alla bellezza come risorsa turistica oltre che fattore di identità nazionale, fanno dell’Italia il Bel Paese. Ma, nonostante tutto, il fatto che il turismo italiano mostri segni di difficoltà, dovrebbe far riflettere, prima di tutto, secondo l’autore, sul ruolo svolto dal pubblico e dal privato nella formazione e nell’organizzazione del settore. “In questa riflessione, e auspicabilmente anche nelle conseguenti politiche territoriali, culturali e turistiche, deve entrare il tema della bellezza e della sua utilità. Non possiamo più trascurare quanto afferma l’articolo 9 della Costituzione italiana, cioè che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Nel 1947 - ricorda Pazzagli - i Costituenti (…) inclusero tra i principi fondamentali a cui avrebbero dovuto ispirarsi le politiche dello Stato proprio la necessità di salvaguardare l’arte e il paesaggio (…) proponendo una straordinaria ed efficace analogia tra bellezza e patrimonio”. Ne consegue che “il paesaggio diventa quindi anche uno specchio dove osservare la qualità della politica e della democrazia, cioè delle scelte che riguardano il territorio”. Cosa fare? Le scelte di governo del territorio dovrebbero essere improntate ad una visione realmente sostenibile delle trasformazioni, fermando la politica urbanistica delle varianti e delle aggiunte, superando le logiche speculative della rendita, smettendola con l’urbanistica contrattata, evitando nuovi consumi di suolo, riqualificando e riusando il patrimonio esistente.
Quando il modello industriale post bellico, culminato nel boom economico degli anni ’60 - nel ’69 usciva il libro “Vino al vino” di Mario Soldati, fotografia di un Paese che non c’è più, ricorda Rizzo, in cui il vino era la “guida” per cogliere le differenze da un luogo all’altro - è entrato in crisi, l’Italia “ha dovuto reinterrogarsi sul valore della terra; un cambiamento di rotta confermato, ad esempio, dal successo dei vini italiani nel mondo”, ricorda il direttore delle Città del Vino Paolo Benvenuti. “Molti viticoltori hanno intrapreso la strada dell’impresa vitivinicola multifunzionale: vino, certo, ma anche turismo, accoglienza, ristorazione, educazione e didattica”. Una trasformazione, anche culturale (riscoperta delle tradizioni, più attenzione al paesaggio) ha fatto sì che molti si appassionassero alla riscoperta del mondo rurale diventando turisti enogastronomici, protagonisti di uno dei fenomeni di maggior successo, come il turismo del vino.
Le Città del Vino rappresentano un’importante esperienza isitituzionale e politica che partendo dall’enogastronomia ci parla delle campagne e dell’agricoltura italiana, delle differenze e dell’unicità del Belpaese. Ed è proprio agli enti locali, spiega Pazzagli - oggi senza risorse adeguate da “investire” sul territorio, diciamo noi, ndr - che spetta il compito e la responsabilità di ritrovare una politica democratica fondata sul valore della partecipazione, intesa non come orpello della democrazia, ma come effettiva possibilità dei cittadini di incidere sui processi decisionali di governo del territorio. Ricordando che, scrive Sergio Rizzo, “con la bellezza abbiamo finalmente l’occasione per assumere un ruolo nel mondo globalizzato, nel quale non potremo più fare concorrenza alla manodopera cinese o indiana”.

Focus - “L’importanza della sinergia tra Comunicazione Pubblica & Comunicazione Aziendale. Guardare al passato con creatività: dalle “5 W” alla comunicazione della Green Economy del vino”, contributo di Alessandro Regoli, direttore di www.winenews.it
L’Italia del vino è un macrocosmo fatto di tanti territori molto diversi tra loro, divisi tra quelli che definirei “territori di pura produzione”, con dinamiche economiche particolari e difficili, e i “grandi terroir”, dove il vino è integrazione tra fattori produttivi, storici e culturali. Ed è di questi ultimi “microcosmi”, che vorrei parlare. E, chiaramente, della loro comunicazione. Territori unici, originali, riconoscibili. Quali sono? Langhe, Montalcino, Chianti Classico, Montefalco, Franciacorta, Bolgheri, Montepulciano, Valpolicella, Collio e Colli Orientali del Friuli, Alto Adige e Oltrepo Pavese. Ma nel novero dei “grandi”, in un prossimo futuro, andranno sicuramente ad aggiungersi anche quei piccoli territori (Etna, Val di Cembra, Salento ...), fino ad ora legati ad un’immagine complessiva del macro-territorio (Sicilia, Trentino, Puglia).
L’idea è quella di ripartire dalle “5 W” per una nuova comunicazione che guardi al passato (in termini di cultura, storia, valori, identità), ma con creatività, fantasia, voglia di mettersi in gioco per lo sviluppo, la crescita dei grandi territori del vino d’Italia, che sono pochi ma possono diventare la vera punta di diamante del nostro Paese: economica, occupazionale, culturale, d’immagine. Questa nuova frontiera della comunicazione dei microcosmi dell’Italia del vino deve passare necessariamente attraverso un rapporto pubblico-privato ed una nuova comunicazione territoriale fondata sul “far sistema”, in termini economici ma anche di idee ed opportunità, per mantenere alta la qualità del territorio, favorire la crescita agricol-turistica & commercio/servizi, e accrescerne l’immagine, e da cui tutti, imprese, cittadini e tessuto sociale, possano trarre vantaggio. Una nuova comunicazione, che non viva di passato, ma sia coerente con ciò che è stato, che abbia come target il miglioramento del prestigio e della conoscenza del territorio, ma riscoprendone la vera “anima”, fondata su una passione autentica per l’agricoltura prima ancora che su logiche puramente commerciali, e si apra alle tecnologie più avanzate, per essere competitivi sul mercato della comunicazione.
Who (Chi)
Il protagonista di questa comunicazione è il vino, perché, tra i prodotti della terra, è quello che maggiormente si identifica con i suoi luoghi di produzione. E’ il messaggero capace di portare in giro per il mondo la storia, la cultura, le tradizioni e l’immagine di un territorio, evocando nella mente al solo assaggio in qualsiasi parte del mondo tutto quello che in quel preciso territorio si trova.
What (Cosa)
In un “circolo virtuoso”, lo strumento della comunicazione sono dunque i territori, che non devono essere solo una vetrina, ma anche un modello, rappresentando quel valore strategico ed aggiunto dei prodotti, fondamentale per presidiare i mercati, conquistarne di nuovi ed emergere sui competitors. Sono l’anima di una voce importante della nostra economia, qual’è il turismo enogastronomico, all’insegna di un’alta qualità che deve essere offerta e mantenuta, perché i territori dove nascono le produzioni di eccellenza siano un modello di cura e tutela del paesaggio, di fornitura di servizi di accoglienza e informazione turistica, di recupero di beni artistici e borghi antichi. Ma non immobili su se stessi, ma dinamici, da vivere e non solo da contemplare. La qualità non si ferma ai confini di un’azienda e va ben oltre logiche puramente commerciali: non è un caso che produzioni di eccellenza nascano in luoghi dove il rispetto per il paesaggio fa parte della vita quotidiana delle comunità, dove la qualità della vita è alta, i redditi medi sono elevati, il tasso di occupazione è alto e l’integrazione riesce. Per me, anche questa è Green Economy.
When (Quando)
Tra crisi economica e tagli pubblici, anche nei Comuni d’eccellenza del vino le pubbliche amministrazioni non riescono a far quadrare i bilanci e non dispongono più di risorse adeguate per mantenere alta la qualità del territorio. Ecco perché oggi è necessario che tutte le energie di un territorio (Comuni, aziende, consorzi, associazioni di categoria, enti di promozione pubblici e privati) che condividano l’obiettivo di valorizzarne l’immagine virtuosa, si concretizzino in soggetti “privati ma di interesse pubblico”. Penso, per esempio, a vere e proprie “Act”, Agenzie di Comunicazione Territoriale, con un’azione di comunicazione a 360°: eventi, idee che danno valore a tutto il territorio, news, ricerche, ma anche scambi di idee con altri territori (perché se local è la produzione, global è il mercato), e progetti di educazione al gusto dei più piccoli, che dei nostri territori sono il futuro.
Così come, è auspicabile che le aziende contribuiscano alla gestione locale, con progetti di sponsoring e/o forme di partnership con le pubbliche amministrazioni, mettendo in campo risorse economiche e competenze da un lato, e, ad esempio, spazi abbandonati al degrado per mancanza di risorse ed idee, dall’altro, perché possano rinascere a nuova vita e diventare luogo di incontro tra pubblico e privato, che possono “riempirli” di idee e trasformarli in luoghi culturali, di nuovo aperti e fruibili alla popolazione e dove i turisti possano “vivere” la cultura del territorio, perché qui il vino, ad esempio, può incontrare il cibo, ma anche l’arte, la storia, la scienza. La direzione è quella di andare verso l’integrazione tra fattori produttivi e culturali: il vino, del resto, è soprattutto un consumo culturale, e, da sempre, uno dei principali promotori delle nostre ricchezze storiche e culturali.
Non per ultima, se non in ordine di tempo, la tassa di soggiorno, la nuova imposta grazie alla quale i Comuni del vino possono tornare ad investire risorse nei propri territori e i turisti “adottare” le nostre città. A patto però che i Comuni sappiano comunicare bene l’uso che sarà fatto della nuova tassa, agli albergatori chiamati a riscuoterla per conto delle amministrazioni locali, e, soprattutto, a chi la pagherà. Creare una tassa non è difficile, è creare il suo valore che lo è, e la tassa di soggiorno è un’occasione importante per fare sistema a beneficio di tutto il territorio.
Where (Dove)
E’ impensabile che oggi la comunicazione non guardi al web (Internet conta ormai 2 miliardi di utenti nel mondo), ed è ai giovani, sempre connessi tra loro, che deve essere affidata questa mission: green vuol dire anche green generation e aziende e territori devono investire sulle nuove generazioni, perchè internet è il loro regno e nessuno conosce meglio linguaggi e strumenti più adatti a diffondere i valori del vino, della Green Economy, dei territori e della qualità. La rete consente poi piccoli “miracoli”, anche a costi accessibili: parlare di un territorio, anche piccolo, ad un pubblico potenzialmente vastissimo, e il cosiddetto “marketing virale”, non convenzionale, basato su un’idea originale e capace di “stimolare” un rapido ed esponenziale passaparola tra utenti, via mail e social network.
Why (Perché)
L’Italia ha un potenziale che gli altri non hanno, che sta in una grande e diffusa qualità nella fascia medio-alta dei suoi vini, nel rapporto con il prezzo, nello stile di accoglienza nei nostri territori del vino, e nel rapporto con la gastronomia. Quello che manca, all’Italia, è un modo di muoversi unito, pur nelle sue specificità, e di comunicarsi “una e molteplice”. Nei tantissimi appuntamenti che vedono il mondo del vino protagonista, una cosa appare evidente: ancora troppo individualismo, in iniziative interessanti, ma senza un “fil rouge” capace di raccontare i valori condivisi. Per l’Italia del vino è forse arrivato il momento di mettere da parte qualche, poco lungimirante, particolarismo. La vittoria sarebbe globale.

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